Il ruolo cruciale dell’associazione Eva con Eva nella lotta contro la violenza di genere
di Irene Bianchi
L’associazionismo riveste un ruolo cruciale nella lotta contro la violenza di genere, in quanto offre sostegno alle vittime, sensibilizza la comunità e promuove la prevenzione.
In questo articolo esploreremo l’attività portata avanti dall’associazione Eva con Eva che, nel tessuto cittadino del Valdarno superiore, fornisce un aiuto concreto attraverso l’ascolto, il supporto psicologico e legale.
Nata nel 2008 a Montevarchi (Ar), essa rappresenta una delle realtà locali più attive nella lotta contro gli abusi sulle donne. La psicologa e psicoterapeuta, dottoressa Patrizia Rossi, che collabora con tale organismo, racconta che l’associazione ha avuto origine dopo una proposta avanzata dalla Commissione Pari Opportunità del Comune di Montevarchi allo scopo di aiutare le donne che avevano subito violenza e che necessitavano di un punto di riferimento a cui rivolgersi.
In che modo l’associazione lavora per sensibilizzare la comunità locale sulla violenza di genere e prevenire il fenomeno?
«Oltre allo sportello che offre ascolto e supporto, un rilevante spazio è dedicato ai progetti nelle scuole (primaria e secondaria di primo e secondo grado); un percorso, che ci sta molto a cuore è “violenza e non violenza fra le righe” orientato agli studenti del terzo anno delle scuole secondarie di primo grado. Quest’ultima iniziativa si pone l’obiettivo di far riflettere gli adolescenti sulla violenza e sulle sue conseguenze, chiedendo loro di scrivere un elaborato sul percorso di fuoriuscita dalla violenza. In particolare all’alunno che ha prodotto il testo migliore viene dato, come riconoscimento, un assegno di 200 euro per l’acquisto di libri e materiale scolastico, in modo da sostenere anche il valore della cultura e dell’educazione».
Che tipo di supporto offrite alle donne non solo dal punto di vista psicologico, ma anche pratico?
«Non essendo un centro anti violenza, non abbiamo una casa rifugio che accoglie le donne, ma ci impegniamo a dare supporto a 360 gradi a quelle che sono in difficoltà. Il nostro lavoro si svolge secondo vari step: le operatrici, una volta ricevuta la richiesta di aiuto, avviano tre colloqui per fare una valutazione del rischio che la vittima corre, soprattutto se ha figli minori. L’obiettivo principale è interrompere il sopruso e avviare un percorso di fuoriuscita. Successivamente, viene data la possibilità di avere incontri sia con la psicologa per supportare la donna in un momento difficile e delicato, sia con una legale che segue l’iter della separazione o problematiche legate all’affidamento dei figli».
Quali tipi di violenza sono più comuni tra le donne che chiedono aiuto alla vostra associazione? Vi è una prevalenza di violenza fisica, psicologica, economica o di altro tipo?
«Il tipo di violenza che è sempre presente è quella psicologica, anche quando la donna si presenta con segni di prepotenza fisica o sessuale. È quella più difficile da individuare, non è riscontrabile perché, mentre l’atto aggressivo fisico lascia delle tracce ben visibili sul corpo, che possono essere repertate ma anche fotografate, quella psicologica non può essere riprodotta. La donna spesso non si rende conto di quanto sia grave la situazione, perché tende a giustificare il comportamento del partner, pensando che siano problemi temporanei. Un’altra forma che sta emergendo con sempre maggiore frequenza è quella economica, derivata dal controllo che il partener esercita sulle risorse finanziarie della donna, impedendole di essere indipendente. Questo porta a un isolamento sempre più profondo e alla totale dipendenza, anche nelle decisioni quotidiane».
Avete notato un cambiamento nel numero di richieste di aiuto nel tempo? Se sì, quali fattori pensate possano aver influito su tali cambiamenti?
«Un notevole cambiamento è avvenuto nel periodo del Covid, c’è stata proprio una linea di demarcazione, sono aumentate le richieste di aiuto ma anche di informazione. Noi abbiamo risposto a questa emergenza adottando un nuovo approccio: i colloqui online e telefonici».
C’è una fascia di età o un gruppo sociale che sembra essere più vulnerabile rispetto ad altri?
«La violenza in senso generale è trasversale, si ritrova in tutte le fasce sociali. Abbiamo avuto casi di donne laureate che svolgevano professioni importanti, a dimostrazione che la violenza non è un problema confinato alle classi più svantaggiate. L’età delle donne che si rivolgono a noi si sta abbassando, molte giovani chiedono aiuto per criticità della coppia, anche prima di avere una famiglia. Ma ci sono anche donne più anziane che cercano supporto, dimostrando così che la violenza può colpire in qualsiasi fase della vita».
Il lavoro delle associazioni come questa è essenziale per offrire alle donne un’opportunità di rinascita, sensibilizzare la comunità e costruire un futuro in cui la violenza di genere non abbia più spazio.
L’articolo è stato realizzato all’interno del “Laboratorio di comunicazione, scrittura e giornalismo” dell’Università di Firenze.