Intervista ad Andrea Barucci, fisico e primo Ricercatore del Cnr-Ifac
di Riccardo Cei e Diego Fontanelli
È possibile utilizzare l’intelligenza artificiale per riconoscere i geroglifici? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Barucci, fisico e primo Ricercatore presso l’Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara” (Cnr-Ifac). Con una laurea in Fisica, un dottorato in Ingegneria dei Sistemi Elettronici e una specializzazione in Fisica Medica, ha sviluppato un’esperienza interdisciplinare unica, che integra radiomica, biofotonica e intelligenza artificiale applicata a settori chiave come la medicina, i beni culturali e la paleontologia. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, coordina progetti di ricerca nazionali e internazionali, distinguendosi per l’uso innovativo dell’intelligenza artificiale in analisi avanzate e nella valorizzazione del patrimonio culturale e naturale.
Come è nata l’idea di utilizzare l’intelligenza artificiale con i geroglifici e come si è sviluppata nel tempo?
«Durante un corso di inglese nel 2018 conobbi un ragazzo che faceva l’egittologo, successivamente è nata l’idea di fare qualcosa insieme. Questa idea è stata abbandonata per poi essere ripresa durante il Covid. Mentre preparavo le lezioni per gli studenti su un problema ormai storico, ovvero quello di sviluppare un software per riconoscere i numeri scritti a mano, mi chiesi se potessi fare la stessa cosa del genere sui geroglifici. Da qui è partito questo software, chiamato Glyphnet, che inizialmente riconosceva i geroglifici solo uno alla volta. Successivamente, il Metropolitan di New York e il museo egizio di Torino ci hanno consigliato di lavorare sul corsivo egizio chiamato ieratico, vista la sua immensa complessità. Nel 2024, grazie all’incrocio di due tecnologie, ovvero quella delle immagini iperspettrali, che ci fornisce l’immagine con differenti lunghezze d’onda, e il sistema di riconoscimento delle immagini, siamo riusciti a raggiungere un’accuratezza del 97% circa».
Con Glyphnet dove volete arrivare?
«Una bella domanda. In questo caso qui, l’idea sarebbe quella di creare un software a supporto del lavoro degli egittologi che fanno traduzione, quindi una sorta di automazione in prima battuta. In seconda battuta quando hai tante informazioni digitalizzate per bene tra cui le forme dei simboli e le loro variazioni nel corso del tempo, hai una facilitazione nello studio di comparazione fra questi simboli per vedere chi li ha scritti, quando, dove, e così via. Quindi questi sono strumenti che dal mio punto di vista, sono a supporto della scienza e della conoscenza in generale, cioè cercano di aiutare le persone che lavorano in questo campo a studiare in modo più accurato, preciso e veloce, certi tipi di problemi».
Questo software toglierà il lavoro agli egittologi?
«In realtà non è un problema solo degli egittologi, perché questi sistemi fanno di tutto. Diciamo che, tendenzialmente, qualunque lavoro che può essere automatizzato, chiaramente è un po’ a rischio: prima o poi arriva un sistema automatico che lo fa più velocemente di te. Non so dove andremo a finire, non ne ho la più pallida idea. Sicuramente alcuni lavori in parte potranno essere rivisti, però poi… molto dipenderà anche dall’uso che verrà fatto della tecnologia. E poi, come dico sempre, la più grande caratteristica dell’intelligenza dovrebbe essere quella dell’adattamento e quindi troveremo anche il modo di adattarci a questa nuova condizione».
L’articolo è stato realizzato all’interno del laboratorio “Il giornalismo a scuola” al Liceo Russell Newton.