Una panoramica sulla situazione scolastica Italiana tra chi ha provato un’innovazione e chi invece fa i conti con uno spopolamento minaccioso
di Elena Lumini, Lorenzo Chiaro, Enrico Tongiani
Perché si va a scuola? Con quali conoscenze e competenze dovrebbe uscirne uno studente?
Nel nostro Paese sembra evidenziarsi sempre più uno scollamento tra vita reale e sistema scolastico, dove a nuove esigenze di una società dinamica e in continuo cambiamento non si associa un tempestivo riadattamento della metodologia, degli strumenti e dei modelli di riferimento.
Nuovi ambiti vanno approfonditi, nuovi strumenti forniti. È questo il caso dell’educazione sessuale e affettiva, la cui introduzione è tanto chiacchierata quanto polarizzante, ma anche, ad esempio, delle competenze di gestione e investimento dei propri soldi.
Gli ultimi dati del report Pisa (Programme for International Student Assessment), un’indagine internazionale che misura in diversi ambiti il livello di istruzione degli studenti quindicenni degli 81 Paesi partecipanti, sottolineano per l’Italia, un livello di educazione finanziaria ampiamente sotto la media (484 punti contro i 498 della media dei Paesi partecipanti). E ancora, sempre di più, l’utilizzo di supporti tecnologici, dai contenuti multimediali ai Large Language Models, come chat bot e generatori di immagini, deve essere accompagnato da un’analisi critica degli strumenti e una presa di consapevolezza di rischi e opportunità.
In questa prospettiva, a fronte di profondi cambiamenti in atto, come le necessità di apprendimento degli studenti si stanno evolvendo, così emergono importanti implicazioni per gli insegnanti.
Questo, si intende, se si riesce prima di tutto a diventarlo, un insegnante. Processi di selezione infiniti, errori algoritmici e graduatorie mai esaurite. Poi, rimanerlo, è ancora di più un’impresa. Secondo l’ultimo rapporto Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale) basato su dati del 2022, il numero di precari in Italia si aggira intorno ai 250mila su un totale di 943mila insegnanti.
La situazione è oggi più critica che mai, tanto da arrivare all’attenzione della Commissione europea che lo scorso 12 febbraio ha avviato una procedura d’infrazione, denunciando, in una lettera di messa in mora, come le condizioni di lavoro a cui gli insegnanti a tempo determinato devono sottostare, secondo la nostra normativa nazionale, siano discriminatorie, e non conformi, come dovrebbero, alle direttive europee in merito, le prime risalenti al 1999. Il nostro governo ha i prossimi due mesi di tempo per rispondere e risolvere le carenze rilevate, mentre continuano gli iter concorsuali del Pnrr tra ricorsi e proteste diffuse.
Eppure, nell’assenza di certezze e stabilità, gli insegnanti devono continuare a rispondere ad aspettative crescenti: che abbiano una comprensione ampia e profonda di ciò che insegnano e di come gli studenti apprendono, ma anche che siano appassionati e sempre performanti; che mettano al centro l’impegno e la responsabilità degli studenti; che rispondano efficacemente a esigenze, background e culture diverse e che promuovano la tolleranza e la coesione sociale; che forniscano valutazioni continue e feedback; che siano collaborativi tra loro, con altre scuole e con i genitori, per fissare obiettivi comuni, pianificarne e monitorarne il raggiungimento.
Il tutto, senza fare troppo rumore. Altrimenti, si rischia molto.
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