Alla scoperta della perla d’Aspromonte
di Caterina Viglianti – Foto di Ylenia Marmina
Ci capita spesso di percorrere strade che ci portano a paesini caratteristici, apparentemente abbandonati, che sembrano raccontare una storia, ma probabilmente nessuno si è mai soffermato abbastanza per poter realmente conoscere cosa ci sia dietro alle viuzze di un paese.
Samo, perla dell’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, è il esempio tipico di un paese che sta perdendo la sua anima, la sua tradizione, i suoi abitanti. Probabilmente sta urlando, ma nessuno ascolta questo grido.
In Calabria, in particolare nelle piccole realtà di paese, il fenomeno dello spopolamento si diffonde a macchia d’olio. Molti preferiscono attribuire la colpa agli abitanti stessi che emigrano altrove, altri ribadiscono che tutto ciò è voluto dai “potenti”, da coloro che potrebbero dare più di un contributo ma volutamente rivolgono lo sguardo altrove, altri ancora decidono di non passare la loro vita alla ricerca di “colpevoli” ma si impegnano a valorizzare le ricchezze a molti occhi ancora celate. La domanda quindi sorge spontanea: come nasce e muore un paese e quali sono le conseguenze per chi decide di restare?
Antonio, 77 anni, ha vissuto la sua vita coltivando i campi e vivendo di pastorizia e a questa domanda risponde così: «La principale causa dello spopolamento è la disoccupazione, i vecchi muoiono e i giovani vanno altrove. A sua volta, la disoccupazione e il declino dell’economia derivano dalla presenza di animali che rovinano il raccolto e mangiano il bestiame. La situazione è diventata incontenibile e volutamente trascurata. Cu resta ndavi si rrancia a jjornata (chi decide di rimanere è costretto a “vivere alla giornata”, non facendo progetti a lungo termine, cercando di limitare i danni, le perdite e ottimizzando i pochi profitti, ndr). Si potrebbe intervenire attraverso iniziative come la realizzazione di riserve naturali che darebbero un importante contributo attraendo turismo, offrendo lavoro e arginando vari problemi. Senza alcun provvedimento Samo non solo non recupererà il suo antico splendore, ma non avrà alcuna prospettiva futura».
Gli abitanti di Samo riconoscono un cambiamento radicale nel paese e si rendono conto che, inesorabilmente, lo spopolamento e i contraccolpi subiti hanno spazzato via le bellezze della “perla dell’Aspromonte”.
Samo porta con sé una storia ricca di tradizione e cultura. Nel corso degli anni il paese ha dovuto affrontare molti cambiamenti a causa di fenomeni naturali, in particolare un grave terremoto che nel 1908 costrinse gli abitanti di Precacore (dove un tempo il paese era situato) a spostarsi e creare un nuovo abitato di Samo. Gli antichi ruderi del borgo Precacore fanno oggi da cornice al paese, ricordando un passato vivace e rigoglioso, ormai rimasto solo un ricordo.
Felicia, 69 anni, quattro volte mamma e nonna di numerosi nipoti, ha ben impressi nella sua memoria i tempi in cui accompagnava i suoi figli a scuola, quando ancora nelle viuzze del paese risuonavano le risate dei bambini che giocavano in strada. Oggi Samo non conta più di trecento abitanti, nonostante i residenti sulla carta siano molti di più. «É tutto un unico ingranaggio – dice Felicia – e se togli un pezzo il meccanismo si arresta. Nel momento in cui mancano i servizi principali quali negozi di generi alimentari, macellerie, assistenza sanitaria, pompe di benzina, avviene che gli abitanti anche se vogliono non possono restare. Alcuni servizi sono essenziali e forse è proprio per questo che ci vengono volutamente tolti. Mi auguro che la storia di Samo possa finalmente avere una voce».
Andrea, 24 anni, ricorda la sua infanzia a Samo. «I miei coetanei, quelli con cui giocavo per le vie del paese, sono andati via in cerca di lavoro – dice -. Molti di loro si trovano al Nord Italia, dove godono di una qualità della vita migliore. Io voglio formare una famiglia e so che qui né io né i miei figli avremo delle prospettive di crescita e formazione. Già ai tempi in cui andavo a scuola frequentavamo la pluriclasse, che ha causato notevoli disagi non solo nell’apprendimento, ma anche nell’approccio ai lavori che non siano legati all’agricoltura e alla pastorizia. Se non avverrà un reale cambiamento, Samo è destinato a diventare un paese fantasma. Nonostante io abbia ricordi meravigliosi, so per certo che dovrò lasciarlo in cerca di un futuro migliore».
Antonio, 54 anni, impiegato del Comune di Samo, si definisce un “tuttofare” e, quotidianamente, si scontra con la dura realtà del luogo che chiama casa. Secondo la sua opinione, Samo potrebbe diventare un punto di snodo importante per l’esplorazione di un vastissimo patrimonio tutto da scoprire, è un paese che può dare molto ma completamente trascurato e afferma. «Samo è un connubio perfetto di un paese che guarda al mare abbracciato dalle montagne – spiega -, eppure è tutto lasciato al completo abbandono. Ci sono stati tolti tantissimi posti di lavoro, le attività sono state costrette a chiudere, tutto è cambiato, ci sono troppe perdite e pochissime nascite. È tutto un deserto».
Il mutamento non è necessariamente sinonimo di miglioramento. Da antico scalo magno-greco a borgo aspro montano, Samo è sicuramente una piccola realtà da scoprire e valorizzare eppure le bellezze del suo territorio sono completamente abbandonate a se stesse e gli abitanti hanno la percezione di essere entrati in un tunnel nel quale non riescono a vedere la luce. La loro speranza è poter avere un’inversione di rotta che ridoni a Samo quel soffio vitale spazzato via da un vento che sembra essere distruttivo.
L’articolo è stato realizzato all’interno del “Laboratorio di comunicazione, scrittura e giornalismo” dell’Università di Firenze.