La patologia di tipo 1 raccontato da chi lo vive
di Lucrezia Pandolfi
Diabete mellito di tipo 1, sicuramente il nome ricorda qualcosa, ma di cosa si tratta veramente? Davvero basterebbe mangiare meno dolci per guarire?
Abbiamo intervistato un ragazzo, David Ruggiero, noto come diabetiamo2.0 su Instagram, seguito da tantissime persone che soffrono della stessa patologia. Ci aiuterà a capire cos’è questa malattia e tutto l’aspetto psicologico che c’è dietro.
David, in parole povere cos’è il diabete?Â
«È una patologia tanto diffusa quanto complessa. Si tratta di una malattia cronica autoimmune, caratterizzata da un’eccessiva presenza di glucosio nel sangue. Questo accade perché le cellule beta del pancreas subiscono un processo di autodistruzione, causando una carenza assoluta di insulina, un ormone essenziale per il metabolismo».
Raccontaci un po’ l’inizio come è stato. Come mai hai voluto creare questa community social?Â
«Nel 2018 ho avuto l’esordio. Il primo anno è stato molto duro, non accettavo la mia patologia. Ogni volta che dovevo farmi un’iniezione di insulina, mi chiudevo in bagno. Mi nascondevo il sensore al braccio, che serve per la misurazione glicemica, e se qualcuno mi chiedeva spiegazioni rispondevo sempre: “mi sono fatto male è una medicazione”. Per due anni sapevano della mia patologia tre/quattro amici al massimo. Solo nel momento in cui ho notato che c’erano tante persone (anche famose) che, invece di nascondersi, sfoggiavano la loro condizione, ho rivoluzionato il mio modo di pensare. Ora pure io me ne vanto. Queste persone sono state un esempio per me e io adesso vorrei fare altrettanto, a tal proposito ho creato questa pagina. Gli obiettivi che tengo a cuore sono l’accettazione e aiutare le persone a sentirsi meno sole. L’aspetto psicologico è fondamentale: questa malattia purtroppo sarà sempre un pensiero fisso, bisogna essere in grado di sopportarlo. Si stima che noi diabetici, in media, prendiamo oltre cento decisioni in più rispetto a una persona normoglicemica, per questo è importante il fattore mentale».
Cosa ne pensi di tutti questi falsi miti sul diabete di tipo 1?Â
«Pesano sempre. Caricai un video tempo fa, ero al ristorante e stavo facendo la mia solita puntura di insulina prima del pasto. Lo postai per normalizzare questa azione, ma i commenti mi fecero rabbrividire. “Maleducato! Queste azioni si fanno in privacy”, “Eppure non sei così grasso, sei anche giovane, allora perché hai il diabete?”, “Ti basterebbe mangiare un po’ meglio invece di bucarti”. Questi sono solo alcuni dei tantissimi esempi, perché fidati, commenti del genere si sentono sempre, ogni giorno. Penso che questa noncuranza derivi dal fatto che la maggior parte delle persone faccia riferimento al diabete di tipo 2, il più diffuso, quello “alimentare” o “dell’adulto” se si vuole chiamare così. Non comprendono la differenza. In realtà , esistono molte forme di diabete, ed è probabilmente per questo che si è creata una sorta di ignoranza collettiva, che a volte sfocia addirittura nella maleducazione e nella presunzione».
Qual è la parte più sottovalutata della gestione quotidiana del diabete che le persone normoglicemiche non si immaginano nemmeno?Â
«La glicemia è estremamente instabile. Molte persone credono che basti iniettarsi l’ormone di cui abbiamo bisogno e che tutto si risolva. Non è così, assolutamente, ogni giorno è diverso. Va in base a milioni di fattori: ormoni, infezioni, emozioni, tempo climatico… continuerei a elencarli, ma sono davvero tanti. E poi direi l’ipoglicemia, ci rende molto vulnerabili e ci fa stare male».
Se potessi parlare con te stesso il giorno della diagnosi, cosa ti diresti?Â
«Molto probabilmente niente, sono convinto che una persona debba fare tutte le sue esperienze, anche quelle negative. Senza la mia vergogna, molto probabilmente non avrei creato questa community e non avrei conosciuto tante persone che affrontano ogni giorno ciò che sto affrontando io e che, soprattutto, non mi fanno sentire perso».
L’articolo è stato realizzato all’interno del “Laboratorio di comunicazione, scrittura e giornalismo” dell’Università di Firenze.