Scaviamo nei ricordi di un nonno che nella sua primissima infanzia ha vissuto il periodo di guerra, con un aneddoto particolare…
di Matilde Marinucci
Scaviamo nei ricordi di un nonno che nella sua primissima infanzia ha vissuto il periodo di guerra.
Le immagini sono tanto sfocate quanto lontane, velate a tratti da momenti di commozione, l’esperienza straordinariamente non è stata del tutto negativa, ma naturalmente anche nel suo vissuto ci sono tutte le privazioni della libertà e degli affetti perduti tipici di quell’epoca.
«A quei tempi – racconta – si viveva in famiglie numerose nei grandi casolari di campagna, distanti a volte chilometri gli uni dagli altri. Tutti lavoravano nei campi limitrofi, anche se non sempre erano di proprio possedimento, e nel nostro caso anche col bestiame».
Roberto ci racconta che durante la guerra, gli uomini della sua famiglia sono stati costretti a rifugiarsi nei boschi per scampare all’arruolamento forzato, e l’unica scusa per incontrarli e fornire loro il necessario alla sopravvivenza era quella di andare a cercare la legna.
«La paura maggiore era quella di esser catturati – dice – e spediti nei campi di sterminio, ma anche quella di venire uccisi nell’immediato; tra l’altro, la vita nei boschi era già pericolosa di per sé.
A un certo punto, è sorto un accampamento di tedeschi vicino all’abitazione, che ha suscitato una grande preoccupazione: il conflitto fino ad allora era stato molto distante, se ne sentiva soltanto parlare.
In realtà quella squadriglia di tedeschi si dimostrò piuttosto civile, infatti una mattina uno di loro si presentò alla porta, le donne col timore che venissero a portare tragiche notizie, si riunirono tutte in attesa della sentenza. Dopo aver proferito uno stentato buongiorno, l’ufficiale, che un poco di italiano lo parlava, tirò fuori dal cappotto un uovo d’anatra, indicandone una nel cortile. Le donne abituate alle scorribande delle squadriglie fasciste, che quando passavano prendevano tutto quello che volevano, senza troppi complimenti, non capivano, e il poveretto non riuscendo a farsi intendere pose l’uovo nelle mani di una di loro e si congedò.
La scena si ripeté nei giorni successivi, dopo un po’ erano i bambini che vedendolo arrivare gli correvano incontro, sapendo che quello che portava non erano brutte notizie».
Non si è mai saputo perché quell’anatra avesse scelto come nido proprio l’accampamento tedesco, e neppure cosa abbia spinto l’ufficiale a restituire ogni volta le uova. Certo è che questo fatto ha alleggerito la percezione della guerra a quei bambini, rispetto a quella vissuta dai loro coetanei che purtroppo hanno vissuto esperienze più tragiche e violente.
L’articolo è stato realizzato all’interno del laboratorio “Il giornalismo in classe” al Liceo Russell Newton si Scandicci.