Un esempio di forza: Jacopo Lilli dimostra che tutto è possibile
di Lapo Lensi e Matteo Mancini
In un’aula piena di studenti attenti, la voce sicura del professor Jacopo Lilli guida la lezione con passione. Eppure, c’è qualcosa che rende la sua storia straordinaria: il professore non può vedere i volti dei suoi alunni, né leggere direttamente con gli occhi i libri da cui insegna. Ma nonostante la disabilità, ha trasformato la sua condizione in una forza, abbattendo barriere e dimostrando che la conoscenza non ha ostacoli. Questo articolo racconta il suo percorso, le sfide affrontate e l’ispirazione che continua a regalare ogni giorno.
Qual è stato il suo percorso accademico, cosa l’ha spinta a diventare professore e se ha dovuto affrontare delle difficoltà?
«Fin da bambino, a causa della mia disabilità visiva, amavo molto le lingue e i suoni e per questo ho scelto di fare il liceo linguistico. La mia idea iniziale era quella di diventare interprete, ma grazie a un bando del ministero dell’estero, sono andato in Spagna a insegnare l’italiano e mi sono accorto che entrare in classe mi piaceva molto. Amavo il rapporto che si creava con gli alunni e per questo l’anno dopo ho preso il master, l’ho fatto riconoscere in Italia e da lì è iniziata l’avventura in cattedra».
Qual è il suo metodo d’insegnamento?
«Non adotto un metodo fisso, mi baso molto su chi ho davanti, ascoltando e comprendendo le emozioni e le passioni dei ragazzi. Perché solo così si crea un rapporto autentico e stimolante con loro».
Lei ha due hobby, il calcio e la musica, come sono nate queste passioni e come è riuscito a svilupparle?
«Il calcio è una passione che mi ha trasmesso mio babbo fin da bambino. Tuttavia ho vissuto lo sport in maniera frustante dato che non potevo praticarlo. Infatti ricordo che ai compleanni, quando i miei amici facevano le partitelle, io potevo battere solo i rigori oppure ero costretto a mettere il pallone in una busta così che mi consentiva di percepire dei rumori per capire la posizione della palla. Casualmente ho scoperto il calcio per non vedenti e da quel momento, dopo oltre 26 anni, la voglia di correre dietro a un pallone non mi è ancora passata. La musica è sempre stata parte fondamentale della mia vita, all’inizio producevo ritmi utilizzando oggetti trovati in casa. Poi con l’influenza del giradischi di mio nonno me ne sono totalmente innamorato. Ho imparato a suonare uno strumento, grazie al mio orecchio assoluto, che mi consente di riconoscere le note senza leggerle e grazie a tanti sacrifici e ore di studio».
Secondo lei perché è importante garantire a tutti l’accessibilità allo sport?
«Garantire l’accessibilità allo sport è fondamentale, perché rappresenta uno strumento di inclusione sociale. Il calcio è uno sport per tutti perché basta una palla e lo puoi praticare ovunque, questo per me è il significato di accessibilità, ovvero dare a tutti la possibilità di divertirsi giocando».
Lei ha qualche sogno nel cassetto?
«Il mio sogno è quello di fare strada nel mondo della musica, sperando che un giorno le persone cantino le mie canzoni. Per quanto riguarda il calcio, vorrei chiudere la mia carriera alzando un trofeo con la nazionale, magari il prossimo europeo. Una volta appese le scarpe al chiodo, mi piacerebbe allenare soprattutto i giovani».
Ha mai subito pregiudizi?
«Purtroppo sì e li subisco tutt’ora, sia nella vita privata che professionale. Capita spesso che io debba dimostrare agli altri il mio vero valore. Fin da giovane ho subito stereotipi, come il sospetto che i miei voti arrivassero per favoritismi dovuti alla mia disabilità. Col tempo ho capito che il problema è l’essere umano, dato che giudica senza conoscere. Proprio per questo motivo consiglio sempre di guardare nel proprio orto».
Ha mai incolpato qualcuno per la sua disabilità?
«No, non ho mai incolpato nessuno e questo anche grazie al supporto della mia famiglia, che non mi ha mai posto limiti e mi ha sempre incoraggiato a fare nuove esperienze. Sono consapevole che la mia nascita è stata dura da affrontare per i miei genitori, però hanno capito che poteva essere un’opportunità e non mi hanno mai fatto mancare il loro amore: per questo vivo la mia vita sana ed equilibrata. Nonostante la mia difficoltà ho sempre accettato la mia situazione, anzi non cambierei la mia vita con quella di altre persone».
Lei si sente tutelato a livello sociale?
«Rispetto al passato abbiamo fatto dei passi in avanti, ma ancora siamo molto indietro, perché prevale un modello secondo cui il cieco è “poverino”. Secondo me dobbiamo aiutare le persone non vedenti mettendole in condizioni di essere autonome».
Ha un messaggio che vorrebbe dare ai ragazzi con la sua stessa disabilità?
«Il messaggio principale che vorrei trasmettere è quello di mettersi in gioco e, se necessario, di andare contro le proprie famiglie, se i pongono dei limiti. Abbiate il coraggio di mettervi in gioco e di godervi la vita senza rimpianti».
L’articolo è stato realizzato all’interno del laboratorio “Il giornalismo a scuola” al Liceo Russell Newton.