Come creare una reale sinergia negli ambienti di lavoro
di Leonardo Astuti
Vivere in un ambiente lavorativo pacifico e privo d’attriti con i propri colleghi è il sogno di molte persone. Tuttavia le relazioni possono divenire ostili e opprimenti nel corso del tempo. Francesca Schirillo, facilitatrice professionista, cerca di prevenire i conflitti e favorire la cooperazione nei team aziendali. Nell’intervista che segue analizzeremo nel dettaglio di cosa si occupa.
Per iniziare, qual è il ruolo del facilitatore?
«Immaginiamo un gruppo di persone che ha un intento comune, come risolvere un problema o portare avanti un progetto. Qui entra in gioco la facilitazione, che appunto ha il ruolo di rendere più “facile” il raggiungimento di tale obiettivo. Il facilitatore aiuta le persone a comunicare in modo efficace, dove “efficace” non significa “in grado di far prevalere un’idea sull’altra” bensì a migliorare il livello di fiducia e motivazione, a prevenire il conflitto e abituarsi all’ascolto reciproco. Nel lavorare con i gruppi, il facilitatore cammina in equilibrio tra due fattori: neutralità e cura. Da un lato si mantiene neutrale sia sui contenuti che rispetto alle persone verso le quali assume il ruolo di mediatore. D’altra parte funge da ponte fra gli attori curando il dialogo e permettendo la libera espressione delle opinioni».
Perché ha scelto questa professione?
«Ricordo benissimo il mio primo incontro con la facilitazione. Un amico mi raccontò che in occasione della fusione della sua azienda con un’altra era stato richiesto il supporto di un gruppo di facilitatori che rendessero più semplice l’unione dei due team. Mentre me ne parlava ho pensato che quello del facilitatore fosse il lavoro più bello del mondo ,poiché univa in sé la cura della comunicazione, il gioco e la possibilità di aiutare delle persone a migliorare il loro modo di relazionarsi».
Quali sono i prerequisiti per esercitare il suo mestiere?
«Credo che sia necessaria una predisposizione di base. Sicuramente sono un ottimo punto di partenza la propensione per l’ascolto, la tendenza a mediare e una tensione positiva verso i rapporti interpersonali. Ritengo poi importante dedicare tempo allo studio di teorie tecniche diverse: solo conoscendo più modalità si sarà in grado di scegliere quella adatta. Infine, l’esperienza è un fattore di crescita fondamentale».
Quali metodi utilizza per favorire il pensiero creativo?
«Ci sono una miriade di possibilità: dall’uso dello spazio e del movimento a quello del gioco, della musica, dell’arte, della fotografia, dei mattoncini Lego. Si tratta di modalità che facilitano l’emersione di opinioni non immediate e non scontate: il ricorso a modelli e metafore aiuta ad abbandonare preconcetti e a favorire l’esplorazione del nuovo».
Trova difficile il suo lavoro?
«Spesso è imprevedibile poiché si ha a che fare con persone che sono tutte diverse fra loro. Ciascuno è animato da bisogni unici e molto spesso gli interessi delle parti sono divergenti. È per questo che nel prepararsi al mestiere di facilitatore è necessario approfondire elementi legati alla psicologia, mediazione e negoziazione».
Con quali aziende ha collaborato finora?
«Mi è capitato di lavorare per realtà molto diverse, cito alcune delle più recenti non nominandole per riservatezza: un polo chimico con l’obiettivo di creare un ponte comunicativo con il territorio, una cittadina che ha chiamato albergatori e negozianti per l’elaborazione di un piano strategico per il turismo sostenibile, una partecipata di servizi che ha coinvolto i sindaci dei Comuni soci nell’elaborazione del suo piano industriale, varie realtà aziendali e un’Università».
Per concludere, ha previsioni per il futuro?
«Siamo di fronte a una netta tendenza verso la creazione di polarizzazioni sociali a ogni livello. È per questo che la facilitazione oggi è indispensabile per favorire la collaborazione negli ambienti di lavoro. La sfida sarà quella di convincere le grandi realtà di come un cambio di paradigma sia possibile e necessario non solo al fine di evitare conflitti nell’ambito dei team aziendali ma anche per implementarne efficacia e soddisfazione».
In definitiva, il ruolo del facilitatore è cruciale per favorire un clima lavorativo sereno e cooperativo, qualora manchi. Inoltre questa professione mira anche a rafforzare valori umani importanti come l’empatia e l’ascolto reciproco, aspetti che non si devono sottovalutare al giorno d’oggi.
L’articolo è stato realizzato all’interno del “Laboratorio di comunicazione, scrittura e giornalismo” dell’Università di Firenze.