Reti di supporto per bambini con disabilità
di Viola Stefanacci
Il lavoro di rete e comunità con minori disabili rappresenta una dimensione fondamentale per il sostegno e l’inclusione sociale di una delle fasce più vulnerabili della nostra società. In un contesto sempre più orientato verso l’autonomia individuale, le politiche di intervento mirano a creare una rete solida di supporto che coinvolga non solo le istituzioni, ma anche la comunità, le famiglie e le figure professionali. L’obiettivo è favorire una progettualità condivisa che risponda alle necessità specifiche di ciascun minore e della sua famiglia, attraverso l’adozione di pratiche inclusive che promuovano l’autonomia, la partecipazione e la qualità della vita.
In questo articolo esploreremo il ruolo dell’assistente sociale, che esercita la professione in una prospettiva integrata, ponendo al centro i desideri e le aspettative di persone con disabilità. L’assistente sociale opera infatti con autonomia tecnico-professionale e di giudizio in tutte le fasi dell’intervento, per la prevenzione, il sostegno e il recupero di persone, famiglie, gruppi e comunità, in situazioni di bisogno e disagio. Ne abbiamo discusso con la Eleonora Vannucchi, che lavora sul territorio di Campi Bisenzio.
Quali sono gli obiettivi principali del lavoro che svolgi con i minori disabili?
«Gli obiettivi principali sono autonomia, socializzazione, integrazione e inclusione nel gruppo dei pari, nel contesto scuola ma anche all’interno della famiglia, sia italiana che straniera. Quando il minore è molto piccolo (0-6 anni) l’obiettivo principale è più incentrato sul dare strumenti e autonomia alla famiglia: ad esempio aiutare la mamma a iscrivere il bambino al nido o a inserirsi nel mercato del lavoro».
Come si costruisce un progetto educativo mirato per un minore disabile? Quali sono i passaggi fondamentali?
«Il primo passaggio è sicuramente quello di acquisire il consenso dei genitori a intraprendere un percorso e successivamente capire e affrontare insieme al genitore il livello di consapevolezza rispetto al problema. Per costruire un progetto educativo noi utilizziamo Pippi uno strumento in grado di mostrarti gli obiettivi, i fattori di protezione, i fattori di rischio e le azioni necessarie per raggiungere determinati obiettivi. In seguito si elabora il progetto e durante il percorso si fanno delle verifiche di monitoraggio, con una verifica di chiusura finale».
In che modo riesci a coinvolgere le famiglie in questi processi educativi?
«Nel percorso dei minori con disabilità è semplice coinvolgere le famiglie, dal momento che sono proprio loro a voler essere parte attiva della costruzione del progetto. Vengono coinvolte con colloqui individuali, verifiche insieme a operatori sanitari e con la scuola. Un po’ diverso è l’ambito della tutela, nel quale prevale la paura che il servizio sociale possa portare via il bambino».
Come coinvolgi la comunità locale per favorire l’inclusione sociale dei minori disabili?
«Noi cerchiamo di coinvolgere la comunità locale tramite la scuola, la Caritas, la Misericordia e le parrocchie. Attraverso loro ci facciamo conoscere sul territorio, in modo da far capire alle persone che non devono aver paura di noi e che se c’è un problema si può affrontare insieme».
In che modo collabori con altre figure professionali (come insegnanti, psicologi, operatori sanitari) per costruire un progetto educativo integrato?
«Quotidianamente lavoro a stretto contatto con il neuropsichiatra, che è l’operatore sanitario di riferimento anche per tutti gli altri operatori sanitari (educatori, logopedisti…). Con lui si fanno verifiche sui vari progetti in corso. Con gli insegnanti mi sento telefonicamente per avere un riscontro periodico sull’andamento dei bambini a scuola, e ci diamo indicazioni o suggerimenti a vicenda».
Quali sono le principali difficoltà che incontri in questo lavoro e come le affronti?
«Ci sono difficoltà di vario tipo nel mio lavoro. La prima è che non sempre lavoro con famiglie semplici: ci sono famiglie poco collaborative e che spesso non hanno le giuste risorse per educare il bambino. Un altro ostacolo che riguarda le famiglie è la paura e la diffidenza nei confronti del servizio sociale, la quale, spesso, rende difficile entrare in relazione con loro. Un’altra difficoltà è la gestione del tempo. Sono in costante aumento i bambini con una certificazione e la forza lavoro non aumenta. Io personalmente ho in carico 200 famiglie e la difficoltà sta proprio nel gestire le priorità e il tempo, dal momento che ne servirebbe molto di più di quello che in realtà abbiamo».
In conclusione, potremmo dire che questo lavoro non rappresenta solo una necessità sociale, ma una vera e propria opportunità di crescita collettiva. Creare un sistema integrato di supporto che coinvolga tutti gli attori del territorio significa offrire ai minori disabili la possibilità di vivere una vita piena e inclusiva. È quindi fondamentale proseguire su questa strada, rafforzando la collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti, affinché ogni bambino e ogni famiglia possano sentirsi supportati e valorizzati nel loro percorso di vita.
L’articolo è stato realizzato all’interno del “Laboratorio di comunicazione, scrittura e giornalismo” dell’Università di Firenze.