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CLET: QUANDO UN’INTERVISTA DI CARTELLO, PUO’ FAR RIFLETTERE SULL’ARTE

Progetti e idee di un artista eclettico per le vie

di Alessandro Mastromarino

Clet, al secolo Jean Marie Clet Abraham, è un artista franco-francese classe 1966: creativo, poliedrico, viaggiatore e naturalmente… intervistato da Edera!

Attivo da anni in Italia, come Street Artist nel suo laboratorio fiorentino, raggiunge la propria popolarità attraverso la tecnica della “sticker art” nella cartellonistica stradale. Uno stile di comunicazione che cecheremo di comprendere, mediante questa intervista immersiva nell’arte: tra passato, presente e futuro.

Clet: la tua vita è arte. Quale significato le attribuisci e cosa ti ha insegnato il tuo mestiere? 

«Spiegare con una definizione il senso dell’arte per me, pur consultando molti libri negli anni, è piuttosto difficile. Ma trovo interessante e più vicino a me quanto descritto nella Costituzione Italiana, che identifica nella libertà la sua espressione, come un ordine del diritto da proteggere e rispettare. Un imperativo, che se ci rifacciamo alle parole di Leonardo da Vinci, deve essere non selvaggio, ma orientato all’uso della ragione nel mettere in pratica delle idee creative. In campo artistico, in sostanza rispettando le leggi, curando gli ambienti e sensibilizzando la cittadinanza sul tema del vandalismo».

Nella tua definizione dell’arte, non manca una certa sfumatura che identifica il tuo attaccamento all’Italia, dove vivi e lavori da ben 35 anni. Come è nato questo sogno tutto italiano? 

«Lavorare in Italia è nato proprio per caso. È il fato, spesso a indicarci vie che magari non abbiamo mai immaginato. Io, ad esempio, sono di origine francese, nato e cresciuto lì da sempre: ho frequentato l’Accademia delle Belle Arti a Rennes, prima di trasferirmi qui, con l’intento di vivere l’arte ovunque nel mondo. Il segreto del mio successo? Sta nell’essermi cimentato e cresciuto a 360 gradi come pittore, scultore, disegnatore e restauratore nel corso del mio prezioso viaggio».

Possiamo definire Clet, quindi, un artista “sospeso” e dal cuore “vissuto” tra due nazioni: l’Italia, patria della maturità artistica e la Francia degli inizi. Da artista franco-italiano, come vivi questo intenso rapporto in tema street art? Quali pro e quali contro?

«Come artista sono estremamente legato alle mie due nazioni, pur avendo lavorato anche all’estero, ho senza dubbio una maggior consapevolezza culturale del tessuto sociale di entrambi. In tema di “sensibilità artistica” posso dire di collaborare positivamente in progetti diffusi in molte città di entrambi i paesi. La street,  oltre a essere famosa presso entrambe le popolazioni che mi supportano e trovo eccezionali, risultava molto più conosciuta sul piano legale in Francia. Un gap che oggi non esiste più: in Italiasono tante le iniziative, anche nella stessa provincia di Firenze, legate e promosse dall’amministrazione pubblica come valorizzazione territoriale».

Entrando nel vivo della tua arte. Cosa ti ha portato a investire la tua vena artistica, in questo particolare progetto dei cartelli stradali artistici, che ti ha reso famoso per le strade e sui social?

«Tutto inizia dalla mia passione sociale nel lavorare sui valori codificati della legge, tra diritti e doveri che devono essere rispettati dai cittadini. Il mio intento professionale è quello di donare un ulteriore significato a quei cartelli, così universali nel loro significato e così definiti nel linguaggio, uno spazio di riflessione per ogni passante che lì si ferma. È fondamentale per me far comprendere, attraverso questo espediente, l’importanza di  temi spesso scontati o nascosti, utili al miglioramento della società civile, nel pieno rispetto delle leggi. Sia nel quotidiano, che perché no sui social, ove possono emergere ulteriori spazi di significazione e far d’eco a una riflessione che è sempre la chiave di volta dell’arte».

Intelligenza artificiale & arte. Tra promotori e disfattisti, come ti collocheresti in rapporto al potenziale dell’Ai? Potrebbe portare a una rivalutazione del tuo mestiere?

«L’Intelligenza artificiale è un fenomeno che esiste ed è ormai consolidato da tempo, quindi va accettata la sua esistenza in sé, senza cercare di dividersi. Credo, da artista, che non si debba temere l’Ai nel proprio campo, anzi si potrebbe farne buon uso per cercare di performarsi in nuovi progetti, allargando ancor di più l’orizzonte creativo. Un po’ come quando l’uomo decise di esplorare la nuova invenzione della fotografia, in compresenza della tradizione storica della pittura. Uno sviluppo tecnico, che secondo me, ancora oggi, può portare beneficio e ulteriore specializzazione alla mia professione».

Clet, infine, una domanda che ti metterà sicuramente in crisi! Ma tu hai una tua opera preferita?

 «Questa è una domanda davvero particolare, a cui ho pensato sinceramente più volte. Posso dire che l’opera che preferisco (ndr. ride), ai fini lavorativi e di conoscenza, è sempre quella nuova che produrrò. Poiché sono spinto dal bisogno di creare e dalla  curiosità che lega da sempre il mio mestiere e che mi fa sognare!».

L’articolo è stato realizzato all’interno del “Laboratorio di comunicazione, scrittura e giornalismo” dell’Università di Firenze.

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