Una battaglia d’amore contro la malattia di Kawasaki
di Martina Cerami
«Ti parlo di una rabbia che muta in amore, di una necessità di colmare un vuoto enorme, cercando sorrisi in tutti gli altri bambini che hanno continuato a portare vita e dove io, forse, ho avuto la necessità di rivedere mio figlio Lapo».
Con queste parole, Gaia Montera racconta il motivo che l’ha spinta a trasformare il dolore più grande in un aiuto concreto per tanti altri bambini. Suo figlio Lapo aveva solo tre anni quando la malattia di Kawasaki l’ha portato via, lasciando un vuoto impossibile da colmare. Ma Gaia ha trovato un modo per far battere ancora il suo cuore: nel 2007 è nata l’associazione “Gli Amici di Lapo”, che da quasi vent’anni si pone l’obiettivo di sensibilizzare le persone per dare più supporto alla ricerca su questa malattia e trovare soluzioni migliori per curarla.
Un’associazione nata dall’amore
«All’inizio il nostro obiettivo era solo uno: far conoscere la malattia di Kawasaki – racconta Gaia – nel 2007 era poco conosciuta, sia dai medici che dai genitori, e questo ritardava le diagnosi. Ma la tempestività è fondamentale: se non si interviene con le cure giuste entro i primi cinque giorni, i rischi aumentano». Questa malattia, che deve il suo nome al pediatra giapponese Tomisaku Kawasaki che l’ha descritta per la prima volta, è una rara infiammazione dei vasi sanguigni che colpisce soprattutto i bambini sotto i cinque anni ed è una condizione che può portare a gravi complicazioni, come aneurismi o restringimenti dei vasi sanguigni, e in alcuni casi può avere esiti fatali. I suoi sintomi possono manifestarsi in modo irregolare, rendendo difficile riconoscerla subito; per questo viene chiamata “Il Grande Mimo”, perché si presenta, lascia segnali, poi si zittisce.
Grazie all’aiuto della professoressa Falcini e del dottor Calabri dell’ospedale Meyer, l’associazione ha iniziato a diffondere informazioni fondamentali sulla malattia, sostenendo le famiglie e collaborando con il mondo medico per migliorare la diagnosi precoce.
Oggi, un aiuto che va oltre la Kawasaki
Negli anni, la consapevolezza sulla malattia è cresciuta. «Oggi non sono aumentati i casi, ma i medici la riconoscono di più, e questo fa la differenza» dice Gaia e questo progresso ha spinto l’associazione, nel 2023, ad ampliare il proprio impegno, includendo il supporto ai bambini con malattie cardiache anche nel Terzo Mondo, riuscendo per esempio a donare defibrillatori fino in Etiopia.
Oltre alla sensibilizzazione, quindi, l’associazione si è impegnata anche in azioni concrete: ha donato defibrillatori anche in Italia, in particolare nei quattro rioni del Comune di Impruneta, un piccolo paese situato in provincia di Firenze, e anche su un’ambulanza di emergenza della Misericordia del posto, per garantire un intervento tempestivo in caso di urgenze cardiache. Un impegno quindi che va ben oltre la malattia di Kawasaki, ma che continua a portare aiuto e vita a chi ne ha più bisogno.
Le difficoltà delle famiglie e il supporto dell’associazione
Per una famiglia, affrontare la malattia di Kawasaki significa entrare in un territorio sconosciuto. «Quando un figlio viene ricoverato, iniziano mille domande: cosa succederà dopo? Potrà fare sport? Avrà conseguenze? – racconta Gaia – noi cerchiamo di rispondere, di raccontare le esperienze di chi c’è già passato». Ma il problema non è solo l’incertezza poiché non tutte le famiglie possono contare sugli stessi servizi sanitari. «Molti genitori – dice – soprattutto dal Sud Italia, devono spostarsi per trovare cure adeguate: noi li aiutiamo a organizzare visite specialistiche in ospedali come quelli di Roma o Firenze».
Guardando al futuro
Oggi la comunità medica ha fatto molti passi avanti nel riconoscimento della malattia di Kawasaki, anche se la causa scatenante rimane ancora un mistero: «Abbiamo partecipato al convegno di Bologna nel 2023, portando la nostra esperienza. Le linee guida della malattia vengono aggiornate continuamente, ed è fondamentale continuare su questa strada – spiega Gaia che, per il futuro, ha un desiderio preciso -. Vorremmo finanziare dottorati di ricerca per giovani pediatri che studino il Kawasaki: essendo una malattia rara, non interessa alle grandi case farmaceutiche e dobbiamo essere noi a sostenere la ricerca». Ma la missione dell’associazione non è solo scientifica. «Continueremo la sensibilizzazione anche sul 5×1000 – conclude – per aiutare sempre più bambini, in Italia e nel mondo».
Dal 2007 a oggi, l’associazione “Gli Amici di Lapo” ha trasformato il dolore in speranza e il ricordo in azione. Il nome di Lapo non è solo memoria, ma un simbolo di consapevolezza e impegno, un filo invisibile che lega ogni bambino salvato grazie alla sensibilizzazione e all’aiuto concreto dell’associazione. Perché ogni vita protetta, ogni famiglia sostenuta, è la prova che l’amore può trasformare anche il dolore più grande in qualcosa di straordinario. Come dice Gaia: «Lapo, in qualche modo, ha già salvato tanti bambini e continuerà a farlo, in ogni sorriso, in ogni vita che riusciremo a proteggere».
L’articolo è stato realizzato all’interno del “Laboratorio di comunicazione, scrittura e giornalismo” dell’Università di Firenze.